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Martedì 27 Dicembre 2005
Hockey, insulti razzisti: Radiato dalla Nazionale ! Daniele Veggiato, 27 anni e 15 presenze azzurre è stato espulso per offese al cortinese Zandonella.
"Sono distrutto, sono andato subito a chiedergli scusa"
"E' vero, ma non lo perdono: certe cose lasciamole al calcio"
di Luigi Bolognini
Radiato a vita dalla Nazionale per insulti razzisti. Si chiude come peggio non si potrebbe la carriera azzurra di Daniele Veggiato, 27enne attaccante dell'Alleghe con 15 presenze in nazionale (anche se non era stato convocato per le Olimpiadi): ieri sera è stato espulso per aver ripetutamente dato del "negro di m..." a un avversario, il 18enne difensore del Cortina Luca Zandonella, italianissimo di pelle nera (papà cortinese e madre delle Isole Mauritius) nel corso di una partita valida per la 25ª giornata della serie A di hockey.
E la Federazione non ha neppure aspettato la squalifica del giudice sportivo (cinque giornate), e ha comunicato ufficialmente: "Veggiato è escluso definitivamente da qualsiasi futura attività delle squadre nazionali. La sua condotta è incompatibile con la maglia azzurra, simbolo invece di lealtà, sportività, rispetto delle regole e dell'avversario".
Era stata una partita durissima fin dal primo minuto, come si conviene a un derby (Cortina e Alleghe sono entrambe in provincia di Belluno), e Zandonella, uno dei migliori terzini italiani, aveva marcato senza tregua l'avversario. Veggiato a un certo punto ha iniziato a insultarlo, senza che Zandonella se ne accorgesse, preso dalla foga agonistica.
Ma le sue urla sono state sentite da uno dei guardalinee, Andrea Benvegnù. L'arbitro Luca Cassol ha allontanato l'attaccante dalla pista, mentre il difensore - furioso, appena sapute le parole di Veggiato - lo inseguiva per farsi giustizia.
nelle foto, dall' alto Zandonella e Veggiato
Neppure l'Alleghe difende il suo attaccante: "Il razzismo non ci appartiene, stigmatizziamo con decisione il gesto", dice il vicepresidente Dino Riva.
Veggiato, che si dice distrutto dalle conseguenze del suo insulto, nega però l'intento razzista: "Volevo solo provocare Zandonella, stavamo litigando duramente su ogni dischetto e ho pensato di innervosirlo così. Io razzista non lo sono e non lo sono mai stato. Ma riconosco di aver sbagliato e accetto serenamente le decisioni che verranno prese su di me. Chiedo solo che il gesto non venga strumentalizzato: sono anche andato a chiedergli scusa, a fine partita, ci siamo stretti la mano".
E Zandonella ammette anche questo particolare, precisando però "di avere ricambiato la sua stretta di mano solo per educazione: non l'ho perdonato. Per me l'episodio è finito qui, anche se mi aspetto che il giudice sportivo lo condanni. Più che amareggiato sono dispiaciuto: reputavo Veggiato una persona più intelligente di quel che si è dimostrato ieri sera. Ma l'hockey non è per nulla uno sport razzista: certe cose le lasciamo volentieri al calcio".
La solitudine del difensore Zoro
dal sito "Mondiali Antirazzisti"
Il gesto di Marc André Zoro ha fatto riemergere con forza e veemenza un problema che le Istituzioni sportive negli ultimi tempi avevano abbondantemente trascurato e sottovalutato.
Il difensore del Messina ci ha urlato in faccia che il razzismo esiste ed è ancora ben presente negli stadi e nella società italiana.
Il suo è stato un urlo disperato, di un giocatore ferito non per essere stato offeso dai tifosi avversari – nel calcio, che piaccia o meno, gli insulti e gli sfottò ai giocatori dell’altra squadra sono molto comuni – ma per essere stato umiliato come uomo e considerato un essere inferiore per il colore della sua pelle, secondo la ben triste e nota teoria della presunta superiorità della razza ariana.
A noi non interessa sapere se i versi scimmieschi fatti nei suoi confronti siano frutto di lucida consapevolezza o di superficiale goliardia, non ci interessa perché, anche all’interno di uno stadio che tollera la libera offesa e l’ingiuria rituale, essi assumono immediatamente un significato politico ed ideologico estremo.
A noi la reazione di Zoro è piaciuta, ci è piaciuta meno la reazione di tutti gli altri giocatori, allenatori e quaterna arbitrale compresa.
L’hanno lasciato solo, qualcuno ha cercato di calmarlo, altri hanno fatto finta di niente, ma nessuno lo ha seguito nel suo gesto.
Ci sarebbe piaciuto, invece, vedere tutti i giocatori per cinque minuti incrociare le loro gambe dorate: gli interisti andare a parlare con i propri tifosi, i messinesi magari dipingersi la faccia di nero come anni fa fecero i giocatori del Treviso in solidarietà con il loro compagno Omolade.
Già, Treviso… Ma quel bel gesto forte concreto e realmente solidale, è anche, purtroppo, rimasto terribilmente isolato nel calcio italiano.
Per il resto siamo alla solita retorica: solidarietà a parole, spot patinati ed ora, rincorrendo l’emergenza, la solita giornata di campionato contro il razzismo indetta da Figc e Lega.
Per carità, tutte cose positive se fossero inserite nel solco di un progetto, se avessero una qualche continuità, invece di nascere e morire in una giornata, attente più all’immagine che alla sostanza.
Eppure noi crediamo che per limitare il razzismo si possa fare di più e di meglio.
Molte tifoserie da anni stanno portando avanti questa battaglia organizzando coreografie, cercando di coprire gli insulti razzisti con cori, portando avanti progetti fuori dello stadio che coinvolgano anche le comunità di migranti.
Ma non basta, non è sufficiente, anche perché spesso le loro attività non vengono prese in considerazione nella giusta misura dal mondo dei media.
Non basta perché il riconoscimento di questo problema deve essere di tutti, come comune deve essere la discussione per trovare delle soluzioni: bianchi e neri, giocatori e tifosi, manager e media.
Per questo noi vorremmo vedere i giocatori di calcio più attivi e presenti sempre: perché loro sono sotto i riflettori; sono ascoltati soprattutto dal mondo giovanile che li considera idoli e modelli.
Un loro impegno concreto potrebbe aprire un varco, indicare una piccola strada che poi andrebbe seguita da attività di socializzazione e di educazione.
Noi vorremmo che le società di calcio facessero qualcosa di più che mettere sui propri siti degli slogan contro il razzismo, magari partecipando attivamente a delle iniziative antirazziste o promuovendo loro stesse progetti contro il razzismo rivolti ai loro sostenitori.
Noi vorremmo, infine, che Federazione e Lega pensassero un po’ meno a tribunali e diritti televisivi e cominciassero ad occuparsi seriamente di progetti solidi, concreti e continuativi volti a favorire la convivenza e la lotta ad ogni tipo di discriminazione nel mondo del calcio italiano.